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Pochi lo sanno, ma stendere il telo da mare sulla spiaggia di Torre Astura significa adagiarsi sui posti scelti da imperatori, nobili e notabili romani che su quel tratto di arenile avevano edificato le loro ville più suntuose dotate di peschiere per l’allevamento soprattutto di murene, uno dei pesci preferiti dai romani. Fra queste costruzioni, la più famosa, pare appartenesse a Cicerone, il cui nome latino, Cicero, corrisponde casualmente all’anagramma di Circeo, il promontorio che rende magico il panorama che si ammira dalla pineta retrostante la spiaggia. È proprio sotto quei pini secolari che doveva essere edificata la residenza estiva del grande oratore romano, nato nel frusinate nel 106 avanti Cristo. Già allora la villa affacciata sul mare e da lui prediletta fra le 18 che possedeva, aveva alle spalle una selva di querce e cerri millenari tanto decantati.

Gli archeologi non possono assicurare che si trattasse proprio della villa di Cicerone, ma garantiscono che se non si tratta della residenza del grande oratore, era sicuramente un villa imperiale. Il primo ad ipotizzare che la villa fosse di proprietà prima di Cicerone, poi di proprietà imperiale è stato Antonio Nibby, uno studioso che a seguito di ricerche archeologiche e ricognizioni di superficie individuò nell’area della torre e al di sotto di essa i resti di una villa addirittura del periodo repubblicano, poi divenuta di dominio imperiale. Nibby identificò un nucleo originario in opus reticulatum, e un ampliamento in laterizio. Molte sono le fonti antiche che citano l’intera zona: Cicerone (appunto), ma anche Livio, Plinio, Svetonio. Essi descrivono l’area e ne parlano come luogo di soggiorno estivo, o come scalo, sia marittimo che terrestre.

Svetonio, in particolare, parla in alcuni episodi di una villa di proprietà imperiale con faro ed il porto che serviva anche da acquedotto. Va ricordato che più a sud del litorale, a Sperlonga, esiste la grotta dell’imperatore Tiberio, con tanto di ampi resti delle fondamenta della villa, dove è stato allestito un museo con i ritrovamenti dei resti originali delle statue e con ricostruzioni di altri capolavori romani.   

La villa di Astura era collegata alle piscine per l’itticoltura da un molo che nel tempo e con l’accumulo di sabbia e detriti è diventata l’attuale stradina sterrata che dalla pineta porta alla casa del finanziere e quindi al castello edificato nel Medioevo proprio sui resti dell’antica peschiera e la cui Torre, che dà il nome alla costruzione e al luogo, altro non era che l’antico faro di delimitazione delle vasche e del porto citati da Svetonio. Astura era dunque un luogo di ozi raffinati per patrizi e imperatori trascorsi nelle ville sontuose, profuse tesori di arte e di bellezza i cui resti ancora tornano ogni tanto alla luce.

Quando si cammina sulla riva del mare davanti all’antico porto, sotto i piedi si sentono i resti dei basamenti di costruzioni antiche. Un tratto del molo del porto, secondo una ricostruzione effettuata dal comitato “Amici di Torre Astura” serviva anche per collegare la piccola isola (dove sorge attualmente la casa del finanziere) con la costa che si fermava dove ora si estende la pineta. La villa era dunque formata da due parti, una insulare ed una peninsulare, collegate fra loro dal ponte con arcate e frangiflutti che ora è in parte insabbiato e in parte crollato. “La parte della villa residenziale, raccontano ancora gli Amici di Torre Astura, che si trovava sulla terraferma era probabilmente più estesa di quella insulare, attualmente è quasi interamente nascosta dalle dune costiere (Tomboleti o tumuleti) che lasciano intravvedere soltanto alcuni resti del terrazzamento. La parte insulare della villa, più visibile rispetto a quella retrostante, era caratterizzata da cisterne, cunicoli, nicchie (ancora ampiamente visibili) e numerosi ambienti che resistono ancora all’erosione del tempo, nonostante alcuni crolli avvenuti proprio in questi ultimi anni. La villa aveva forma quadrangolare, era ornata da marmi pregiati e copriva una superficie di sei mila metri quadrati”.

Le ultime notizie su Astura in età romana risalgono agli imperatori Settimio Severo e Caracalla. Le invasioni barbariche provocarono il suo abbandono e la decadenza, dovuta anche ad impaludamenti e alla conseguente diffusione della malaria.

Astura deve il suo nome al fiume che segna il confine fra Nettuno e Latina, dove pare nidificasse un rapace detto Astore (Accipiter gentilis) che un tempo trovava nei boschi e nelle foreste del litorale laziale il suo habitat naturale. C’è un’altra scuola di pensiero, invece, secondo la quale Astura sarebbe una parola di derivazione greca. Sta di fatto che in epoca pre-romana, quando questa terra era quella dei Latini e dei Volsci, nei pressi del fiume e della sua foce ad estuario sorgeva un’intera città: la città di Astura. Un gruppo di archeologi finanziati da un’università olandese sta effettuando rilievi proprio alla ricerca dei resti dell’antica città, la cui economia era formata da fornaci per la fabbricazione di vasi e terrecotte. I loro lavori saranno pubblicati ed esposti al pubblico nei musei di Nettuno ed Anzio, ma secondo le prime indiscrezioni rilasciate dal gruppo di ricercatori esistono sotto la pineta i resti delle fornaci e dell’antica città collegata dal fiume Astura, un tempo navigabile perché in esso convogliavano anche le acque di scolo della palude, alla città di Satricum più nell’entroterra e al resto dei centri abitati. Tale ricostruzione sarebbe provata dagli scritti di Strabone che parlano di un approdo costruito alla foce del fiume Astura, il più importante corso d'acqua tra la foce del Tevere e il Circeo. Insediamenti abitati pare vi fossero anche ben prima dell’inizio della “civiltà”, come dimostrato dai ritrovamenti, pochi anni fa, dei resti di un antico guerriero; resti databili al terzo millennio a.C. e che per la prima volta attestano la presenza di una probabile necropoli eneolitica (età del rame) lungo la costa di Nettuno, laddove si erge di fronte al mare una parete di argilla. Dalle cronache di tale ritrovamento si legge: “La sepoltura era costituita da una tomba a fossa di forma ovaloide (per quanto è stato possibile accertare nonostante i pesanti fenomeni di erosione marina), approssimativamente lunga m. 1,70 e larga  m.0,85, scavata nell’argilla. Al suo interno, direttamente deposto sul sottostante banco naturale di argilla, è stato rinvenuto lo scheletro di un adulto, deposto supino, con arti inferiori distesi e superiori flessi sul ventre. Molte delle ossa non si trovavano più nella loro posizione originale, presumibilmente spostate dallo sciabordio delle onde. Lo scheletro, come anche gli oggetti di corredo, erano totalmente immersi in acqua marina, che ha gravemente contribuito alla disgregazione dei resti ossei, che altrimenti, sarebbero presumibilmente stati rinvenuti in un buono stato di conservazione. Il corredo è composto da 6 vasi (parzialmente ricoperti da incrostazioni causate dal loro continuo “contatto” con l’acqua di mare), probabilmente attribuibili alla facies di Gaudo, una cuspide di freccia in selce, due lame di pugnale in selce. Il vasellame era disposto attorno al corpo, con un vaso a fiasco posizionato presso i piedi, due tazze carenate monoansate a fianco del lato destro (di cui una in prossimità del cranio), tre vasi monoansati carenati presso il sinistro (di cui uno, frammentato, nelle vicinanze della testa, uno all’altezza del bacino ed il terzo delle gambe). All’interno e al di sotto del vaso carenato monoansato posto sul fianco sinistro presso il bacino, sono state rinvenute due lame di pugnale in selce. Al di sopra dello scheletro era invece posta una punta di freccia di selce”.

Nell'anno 416 di Roma (nell’era ante Cristo i giorni venivano contati dalla fondazione della città secondo la leggenda di Romolo e Remo), cioè nel 338 a.C. i Volsci vennero vinti ed assoggettati dal console romano Caio Maenio e Furio Camillo, come racconta Livio, ed è da quel periodo che iniziano gli insediamenti imperiali e dei nobili sulla costa per trascorrere lì gran parte del loro tempo. Qui Cicerone si riposava dalle sue fatiche, meditava e preparava eloquenti orazioni che sarebbero state tramandate ai posteri. Era qui che si abbandonava al piacere della lettura o alla tristezza e al pianto per la morte di sua figlia Tulliola, scrivendo il suo “Trattato della Consolazione” per trovar conforto alla perdita più dolorosa per un genitore. E sempre nella residenza di Astura, Cicerone scrisse molte delle 396 lettere indirizzate al suo grande amico Tito Pomponio Attico per descrivergli delle delizie di Astura. “Non vi è nulla di più sereno, splendido e ameno”, egli scriveva, “Astura è un paradiso”. Infine fu qui (secondo alcuni, secondo altri a Formia) che, nel 42 a.C. Cicerone si rifugiò, quando lo cercavano i sicari di Antonio, dai quali fu poi ucciso.

Astura è stato però anche luogo nefasto per i potenti. Augusto e Tiberio vi contrassero la malaria, malattia che doveva restare misteriosa per altri 19 secoli, ed alla quale veniva dato un nome che oggi suona buffo: languidezza di forze. Nell'anno 41, nelle acque di Astura, l’imperatore anziate Caligola vide nella remora che, con la sua ventosa, si era attaccata al timone della nave, un presagio di morte. Certo la remora non voleva dire assolutamente nulla; comunque, quattro mesi dopo, sul Palatino, Caligola fu ucciso dagli uomini di Cassio Cherea. Dopo la florida epoca romana, Astura sprofondò nel buio del Medio Evo. Le sue ville ed i suoi templi vennero messi a sacco ed a fuoco dai pirati.

Ancora adesso il fiume ha un ruolo geografico importante: segna il confine fra il comune di Nettuno e quello di Latina.

Dopo gli antichi romani, non si trova più traccia di Astura fino al 987, quando il conte Benedetto Tuscolano e Stèfana, sua moglie, donarono all'abate Leone del monastero di Sant'Alessio parte dei terreni posseduti in Astura. E i monaci vi costruirono chiesa e Monastero. Estinta la famiglia dei Tuscolani, Astura passò a Leone e Manuele Frangipane, loro parenti.

I Frangipane appartenevano ad una grande ed antica famiglia dalla quale ebbero origine gli avi di Dante Alighieri. Lo afferma il Boccaccio e lo conferma il Tommaseo che, com'è noto, oltre ad essere filosofo, critico, pedagogista, romanziere, sociologo e patriota, fu anche dantista. I Frangipane erano così potenti che, nel 1118, Cencio Frangipane aggredì e percosse per ben due volte papa Gelasio II, e lo costrinse a fuggire in Francia, ove morì l'anno dopo, nell'abbazia di Cluny. Tuttavia i Frangipane sostennero validamente Innocenzo II contro l'antipapa Anacleto. In una lettera scritta nel 1218, papa Onorio III esaltò “l’invitta fedeltà di generazione in generazione dei Frangipane per la Chiesa romana”.

I Frangipane erano signori di Astura dal 1141. Del castrum di allora con più chiese ed edifici e cinto di solide mura non restano che miseri ruderi, ma la rocca, più volte restaurata, s'impone a chiunque da Nettuno guardi verso il Circeo. La progettò l'architetto Mariano di Giacomo detto il Taccola, e venne poi modificata dai Colonna. Alberto Guglielmotti (1812-1893) nel suo volume sulle "Fortificazioni della spiaggia romana", dopo aver minuziosamente e magistralmente descritto le torri pentagonali, così dice di quella di Astura: "Sul dorso dello scoglio isolato che fuor d'acqua gira centocinquanta metri, tutto lo spazio è coperto da fabbriche diverse, ridotte alla forma di una sola fortezza. Il reticolato del tempo imperiale si congiunge al tufo rustico del Medio Evo; i macigni della casa Malabranca addentano i quadrelloni dei Frangipane; i baluardi dei Colonnesi sovrastano i magazzini dei Borghesiani.. .". Ed afferma che quella di Astura è la torre pentagonale più bella, più grandiosa e meglio conservata.

 

 

 

 


 

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